“Se Dio non esiste, tutto è lecito” sentenzia Ivan Karamazov, in quello che è, senz’ombra di dubbio, il più celebre romanzo di Dostoevskij. In una breve frase, è condensata l’essenza della modernità: lo sguardo dell’uomo penetra le profondità oscure dell’abisso, e vede il Nulla, il vuoto, la negazione di senso. L’uomo che rinnega Dio, eleverà altari a Moloch: dalla “dea ragione”, alle filosofie “new age” - che scimmiottano antichi riti orientali, snaturandone la primigenia essenza - passando per le ideologie che partorirono i più cruenti regimi totalitari, perlopiù di stampo materialista e marxista. Il mondo senza Dio non ci ha condotto alle “magnifiche sorti e progressive”, ma, al contrario, ci sta trascinando nell’abisso di una rinnovata barbarie. In un tempo in cui ogni anelito al Sacro è bandito dalla società, che cosa può esservi di più “controverso” del richiamo alla vecchia Religione? È questo il senso profondo, a nostro avviso, della raccolta di poesie “Versi controversi” di Gianvito Armenise (Bari 1973). Un Autore da sempre avvezzo ad interpretazioni “eretiche” della Storia moderna e contemporanea, basti pensare al pluripremiato saggio “Giuseppe Mario Arpino. Il diplomatico di Ferdinando II di Borbone” (Edizioni Solfanelli, prefazione di Marino Pagano), che svela retroscena finora ignoti della storia risorgimentale. Interpretazioni “eretiche”, appunto, in quanto nel mondo contemporaneo sono considerati “eretici” coloro che non si piegano alla idolatria del progresso, serbando intatta la fede degli Avi. Armenise passa, con rimarchevole disinvoltura, dalla stringente analisi filologica del suo precedente saggio storico ai voli pindarici della poesia, di cui fornisce ampia prova in questa raccolta: un libretto che unisce alla levità dell’ispirazione poetica la profondità della critica sociale. In questa critica, accanto alla rievocazione di episodi storici – spesso di capitale importanza, come la Battaglia di Lepanto, che, è bene rammentarlo, salvò l’Europa dall’orda di tagliagole mussulmani - emergono temi di stretta attualità: in particolare, spicca il torvo ritratto di questa Italia “senza rotta e né nocchiere”, paragonata al Titanic riecheggiando il celeberrimo verso dantesco (“nave sanza nocchiere in gran tempesta”). Marino Pagano, nella sua Presentazione, definisce la poesia dell’Armenise “un monumento alla difesa dei valori eterni”. Noi ci vediamo, in maniera meno ottimistica, un tremendo monito: nella “tetra ora presente”, il nuovo tipo umano schiavo della “tecnofollia” avanza, “inesorabilmente”. Martin Heidegger disse che “solo un Dio ci può salvare”. Ma possiamo ancora sperarlo?