Non può certo suscitare meraviglia l’ennesimo tentativo di censura della nostra Arte e della nostra Storia: il caso del celebre bassorilievo di Bolzano raffigurante il Duce a cavallo, d’altro canto, periodicamente viene riproposto all’attenzione dei media. Non cessa di turbare i sonni degli antifascisti, doppiamente frustrati nella loro smania iconoclasta: a Bolzano infatti, l’odio per i simboli fascisti spesso s’accompagna all’odio verso tutto ciò che simboleggia l’Italia (come è noto, Patria dai più disconosciuta in quei luoghi).
Non per caso infatti, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, molti propugnarono la demolizione del Monumento alla Vittoria (1926-28), nel nome di un fasullo “pacifismo” sbandierato dai sinistri che, ieri come oggi, si preoccupano molto della sensibilità degli stranieri, e per nulla di quella dei loro connazionali.
È opportuno ricordare che l’Arco di Bolzano - un arco di trionfo che in realtà è una “porta urbana” come quella di Brandeburgo a Berlino: non vi sono archi, le colonne reggono una trabeazione rettilinea - è opera fascistissima dell’Arch. Marcello Piacentini (Roma 1881-1960), che proprio con tale costruzione creò un nuovo ordine architettonico, l’ordine littorio, fornendone misure e proporzioni come avevano fatto Vitruvio e Vignola per i 5 ordine canonici (tuscanico, dorico, jonico, corinzio, composito). Le colonne in foggia di fascio littorio sono certamente il segno più “scandaloso” dell’opera, che presenta pregevoli opere d’arte: le erme marmoree dei martiri italiani Cesare Battisti, Fabio Filzi e Damiano Chiesa dello scultore Adolfo Wildt (Milano 1868-1931); il Cristo risorto in bronzo di Libero Andreotti (Pescia 1875-Firenze 1933); la Vittoria alata sul fronte di Arturo Dazzi (Carrara 1881 - Forte dei Marmi, Lu 1966); i tre tondi raffiguranti Icaro, l’Italia vittoriosa e Prometeo di Pietro Canonica (Torino 1869 - Roma 1959); le protomi di soldati lungo la trabeazione di Giovanni Prini (Genova 1877 - Roma 1958); i due affreschi L’Amore della Patria e La Storia del pittore Guido Cadorin (Venezia 1892-1976) all’interno della cripta. Tutte opere d’arte pregevolissime, che hanno rischiato più volte di essere distrutte, dal vandalismo iconoclasta di fanatici comunisti/indipendentisti altoatesini.
Il bassorilievo (1940-43) “pomo della discordia” è opera di Hans Piffrader (Chiusa 1888-Bolzano 1950); collocato sulla facciata della Casa Littoria (architetti Guido Pellizzari, Francesco Rossi, Luis Plattner, Ing. Dorna, 1935; oggi Palazzo delle Finanze) in piazza del Tribunale, è un bassorilievo in travertino (mt. 36x5,5) di 57 lastre, tra i più grandi d’Europa, che presenta la raffigurazione allegorica del Fascismo Vittorioso, da Vittorio Veneto sino alla fondazione dell’Impero, passando per la Marcia su Roma: al centro è la figura del Duce a cavallo, col braccio teso nel saluto romano a riprendere l’iconografia imperiale, recante l’iscrizione col motto CREDERE, OBBEDIRE, COMBATTERE. Per uno dei tanti paradossi italiani, proprio la parte “incriminata” recante l’effigie di Mussolini, fu collocata in situ tardivamente, in occasione d’una visita del Presidente della Repubblica (1957), in quanto considerato poco decoroso lasciarlo incompleto nel mezzo. Si è detto molto sul Piffrader (che non vide mai ultimato il suo magnum opus), tentando di “assolverlo” dalla compromissione col Fascismo: certo è che il suo stile artistico robusto e militaresco ben rappresentò lo spirito marziale del Regime, e che come cittadino professò il suo attaccamento all’Italia (avrebbe potuto optare infatti per la cittadinanza tedesca); ebbe inoltre un rapporto di amicizia e di vicinanza spirituale con uno tra gli artisti nazionalsocialisti prediletti dal Fuhrer, lo scultore Josef Thorak (1889-1952).
L’ultima balorda trovata dei revisionisti di PD e SVP, col placet dell’allora ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini (che di arte e di cultura non capisce nulla, ma in questo balordo paese basta avere la tessera del PD) è stata la “sovrascrittura” sul bassorilievo - attraverso un’illuminazione a led - di una di una frase della filosofa Hanna Arendt: “Nessuno ha il diritto di obbedire”, in sfregio all’effigie mussoliniana. Ma, se nessuno ha il diritto di obbedire, perché dovremmo sottostare alla volontà del Ministero e della Giunta Comunale? Evidentemente, vogliono far valere questo assunto solo per quanti obbedirono a Mussolini: non vale per quanti (anche italiani) da sempre obbediscono a Stalin.
L’unica voce fuori del coro fu quella del Consigliere comunale di CASAPOUND ITALIA Andrea Bonazza, che incitò i veri Italiani ad una mobilitazione per preservare il valore artistico e storico del bassorilievo, in quanto “oltre allo sperpero di denaro pubblico per un intervento che non ha nessuna priorità rispetto ai gravi problemi e disagi che vive attualmente la città di Bolzano [---] non possiamo non far emergere e smascherare questo ennesimo atto talebano nei confronti dell’arte e della comunità italiana in Alto Adige, una comunità che vive in una condizione di apartheid da quasi cinquant’anni”.