Nell’Aula Magna dell’Università “La Sapienza” di Roma, Mario Sironi (Sassari 1885 - Roma 1961) dipinse a buon fresco L’Italia fra le Arti e le Scienze (1935), opera in cui l’artista si rifà a Giotto ed ai grandi cicli pittorici medievali (in particolare per l’azzurro “giottesco” del cielo che si staglia sullo sfondo, facendo risaltare le figure trattate con colori terrei): poderosa sintesi plastica, che volutamente rinunzia al naturalismo anatomico ed alla prospettiva lineare geometrica di ascendenza albertiana, in favore di un simbolismo neobizantino e misticheggiante. Il nome di Sironi fu proposto da Piacentini, che dirigeva l’intero cantiere della Città Universitaria, e fu approvato da Mussolini in persona, che presenziò all’inaugurazione nel 1935: la commissione dell’opera avvenne già nel 1933, quando erano ancora in corso i lavori di costruzione dell’edificio. Si tratta di una pittura veramente monumentale, avente una superficie di ben 140 metri quadri. In uno spazio dall’aura sacrale - riecheggiante l’abside delle chiese medievali - l’Italia, raffigurata secondo la tradizionale iconografia (matrona col capo cinto da corona turrita), è attorniata da Arti e Scienze (Astronomia, Mineralogia, Botanica, Geografia, Architettura, Letteratura, Pittura, Storia); sullo sfondo a destra, un arco di trionfo e l’aquila (simboleggianti i trionfi romani). La Vittoria alata armata di spada irrompe sulla scena da sinistra, mentre al centro un fascio littorio stilizzato reca la data in cifre romane XIV (anno dell’Era Fascista): presagio della imminente vittoria nella campagna d’Africa, che costituirà il vertice della parabola mussoliniana. Nel dopoguerra, il dipinto di Sironi era stato oggetto di due interventi di censura: dapprima fu coperto con una carta da parati (1944), successivamente si optò per una ridipintura gabellata come “restauro” (1950) onde cancellare quei simboli che rinviavano al passato regime. Fu lo stesso Piacentini (membro di una commissione tecnico-artistica nominata per risolvere la questione) a salvare il dipinto di Sironi dalla distruzione, mentre il prof. Carlo Siviero (Napoli) fu designato come “restauratore” sebbene non sia mai intervenuto direttamente sulla superficie pittorica, demandando tale compito ad un collega, soltanto recentemente identificato nel pittore Alessandro Marzano di Bari. In realtà Piacentini, esperto di arti figurative ma ancor più esperto nel coltivare le arti della diplomazia con il politicante di turno - ricordato come “architetto di regime”, si deve rilevare che aveva iniziato la sua proficua carriera, grazia ai buoni uffici paterni, già al tempo di Giolitti, per concluderla sotto l’ala protettrice del democristiano Andreotti del quale fu amico - aveva in un primo tempo pensato allo stesso Sironi, visto che parecchi artisti “compromessi” erano disposti a cambiar bandiera: Sironi rifiutò sdegnosamente di ridipingere il suo stesso dipinto per autocensurarsi, dando un grande esempio di coerenza e di rigore morale in un paese di voltagabbana. Dopo i recenti restauri (2015-17) L’Italia fra le Arti e le Scienze (1935) è tornata finalmente al suo originario splendore, non senza le polemiche cui purtroppo abbiamo fatto il callo.