L’idea di un Faro Votivo dedicato ai Martiri Fascisti della Puglia ha una datazione precisa: il 23 febbraio 1923, secondo anniversario della morte dell’Eroe Riccardo Barbera, vilmente assassinato dalla canea rossa. La scelta di Minervino era dettata, oltreché dalla sua elevata posizione, dal fatto che ben cinque dei Martiri pugliesi erano minervinesi. Il progetto venne affidato ad un professionista stimato e di provata fede, l’Arch. Aldo Forcignanò, squadrista ante-marcia, e la prima pietra venne posta il 28 Ottobre 1923, I Anniversario della Marcia su Roma. Ultimati i lavori (affidati in un primo momento all’Impresa Cav. Luigi Labianca, dipoi alla Ditta Ceci e Nigro) nel settembre 1931, l’inaugurazione ufficiale ebbe luogo il 29 giugno 1932, anno del Decennale della Rivoluzione, alla presenza dell’On. Araldo Di Crollalanza (Bari, 19 maggio 1892-Roma 18 gennaio 1986) e del Segretario del P.N.F. On. Achille Starace, entrambi pugliesi, fascisti della prima ora e fautori della sottoscrizione per il grandioso monumento. Anche il Duce Benito Mussolini, che non aveva potuto presenziare all’inaugurazione per impegni di Stato, aveva offerta a titolo personale la somma di £. 10.000 per la sottoscrizione pro-monumento, e si era congratulato con l’architetto per la sua altissima creazione artistica. Il mistico senso dell’opera è tutto nell’epigrafe dettata dal Prof. Augusto Cerri: PIV’ CHE FARO NELLE TENEBRE / PIV’ CHE SOLE A MERIGGIO / SPLENDERA’ NEI SECOLI / CONFORTO AI FEDELI / RAMPOGNA AI TRADITORI / LA LUCE DEL MARTIRIO [FASCISTA]. Originariamente, le epigrafi erano due; l’altra, cancellata nel dopoguerra, sentenziava: GIVRATI AL DVCE / SALVARONO / CON LA RIVOLVZIONE LA PATRIA / EBBERO IN PREMIO / LA VITTORIA E LA IMMORTALITA’. Lo stile del monumento è improntato all’eclettismo storicista in auge sino ai primi due decenni del Novecento, caratterizzato dalla composizione di elementi classicisti, quali colonne, timpani, protomi, archi, protiridi, tripodi; i riferimenti alla Guerra sono evidenti nei fasci littori romani nella cancellata, nella protome in chiave d’arco raffigurante Atena, la Dea Guerriera, nelle prore rostrate, che riprendono il motivo decorativo dell’Antica Roma (si ricordino le cosiddette “colonne rostrate” romane). Si possono ritrovare affinità ed analogie con progetti coevi dell’Arch. Saverio Dioguardi (Rutigliano 1888-Bari 1961), quale ad esempio quello del Monumento al Marinaio d’Italia a Brindisi (1928), non realizzato. Tra i modelli assunti dal Forcignanò vi erano certamente il Faro del Gianicolo (1911) in Roma dell’Arch. Manfredo Emanuele Manfredi (Piacenza 16 aprile 1859-Roma 13 ottobre 1927) ed il Faro della Vittoria a Trieste (1923-27), opera dell’Arch. Arduino Berlam (Trieste 1880-1946) in collaborazione con lo scultore Giovanni Mayer (Trieste 1836-1943). Oltre alle summenzionate opere, il Forcignanò ebbe probabilmente presente anche la Cappella Espiatoria di Monza (1900-11) di Giuseppe Sacconi, realizzata per commemorare l’assassinio del Re Umberto I. La slanciata colonna con rastremazione introflessa dotata d’un robusto capitello dorico, cede qui il posto al fascio, secondo i dettami d’una “architettura parlante”, anticipando soluzioni come quella dell’ordine littorio adoperato dal Piacentini nell’Arco della Vittoria a Bolzano (1926-28). Il monumento (di altezza complessiva pari a mt. 32 con una base di mt. 14) si articola in tre parti: il basamento, consistente in un possente blocco approssimativamente parallelepipedo delimitato da quattro piloni angolari (conformati alla base da enormi blocchi lapidei grossolanamente sbozzati) unificati da arcate, su cui s’innesta anteriormente un avancorpo in foggia di pronao classico (frontone retto da due colonne in foggia di fasci); una seconda parte di foggia tronco-piramidale, che funge da elemento di raccordo; infine il faro votivo vero e proprio, in foggia di alto e slanciato fascio littorio adorno di quattro scuri disposte radialmente. Alla sommità di questo, la lanterna ruotante che proietta il segnale luminoso del faro, d’intensità pari a 2 milioni di candele (7). Le decorazioni bronzee, prore con rostri di navi romane sormontati da Vittorie alate (8), furono realizzate da Adolfo Rollo (Bari 1898-Giovinazzo 1985). I due tripodi, la cancellata adorna di fasci littori e le 4 are con bracieri votivi sono in ferro battuto, mentre le parti lapidee sono in pietra di Minervino. Una scala a lumaca raggiunge un terrazzino dal quale si possono scorgere il Gargano e parte del Tavoliere. Dal pronao colonnato si accede al vestibolo: nella parete di fondo del vestibolo, nicchie ormai vuote accoglievano i ritratti dei Martiri della Rivoluzione; sotto il pavimento si trova la cripta. Contestualmente all’erezione del Faro, venne realizzata la sistemazione dell’intera area a Villa Comunale (Ing. Francesco Lorenzetti, 1933). Nelle vicinanze del Faro v’è il Campo Sportivo del Littorio (Ing. Pietro Giorgio, 1938), che non presenta tuttavia motivi architettonici di qualche interesse.