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Esplora le mostre dedicate all’arte del Ventennio fascista e agli epigoni della grande Tradizione figurativa.

Un viaggio attraverso esposizioni che raccontano l’influenza estetica del regime fascista sull’arte italiana, con focus su opere e artisti dell’epoca.

Una selezione di mostre che valorizzano la storia e la cultura artistica del periodo fascista, per approfondire un capitolo fondamentale dell’arte italiana.

I grandi Autori viventi che operano in continuità con la grande Tradizione del Rinascimento Italiano.

CARLO FVSCA. “Le seduzioni della Pittura nella Nuova Maniera”. Mostra personale dell’Artista alla Galleria d’Arte “KALOS. International Art Gallery” di Jean Almestre Enrique & Antonio Baldassarre (31 maggio/30 settembre 2025).

Guardare un’opera di Carlo Fusca, è come guardare un’opera di Pieter Paul Rubens. Non si tratta, beninteso, di un giudizio di valore, perché per valutare a fondo l’opera di due artisti appartenenti ad epoche così diverse, servono anni e anni di studio. È la sensazione che provocano nell’occhio di chi guarda, ad essere la stessa. Una sensazione di inquietudine, un senso di movimento caotico che tuttavia appare trattenuto da un superiore equilibrio compositivo. Sono soprattutto i cavalli, con il loro sfrenato galoppo, a colpire l’occhio: come non pensare alla Battaglia delle Amazzoni di Rubens? Un’opera che a sua volta Rubens trasse dal caotico movimento della perduta Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci, che Rubens stesso copiò per i posteri, traendone la suprema ispirazione. Ma Leonardo è Leonardo, Rubens è Rubens. E Fusca è Fusca. Non si tratta di elogiare questo o quelli, né di stabilire una precisa genealogia, o, peggio, affermare che Leonardo fu il solo genio, mentre chi è venuto dopo ha “soltanto” copiato (ma quanta perizia tecnica ci vuole per fare una degna copia, ché, senza la copia di Rubens, l’idea che abbiamo del perduto cartone leonardesco sarebbe estremamente vaga!). Nel volto di un fiero cavaliere, ravvisiamo quello di Antonio Baldassarre, committente dell’opera: un uso antico, che rimanda al Duca di Urbino Federico da Montefeltro immortalato da Piero della Francesca.

   Non si tratta quindi di “copiare”, né si tratta di “citare” secondando la moda del cosiddetto “postmoderno”: la Storia dell’Arte è piena di citazioni, basti pensare soltanto al Novecento di Sironi e alla Metafisica di De Chirico, che sono i termini di paragone più prossimi a noi. D’altro canto, Giorgio De Chirico metteva in guardia i colleghi troppo presi dalla smania del nuovo, dai vari “ismi” artistici, indicando la strada del “ritorno al mestiere” come sicuro viatico per la vera espressione artistica. L’espressione “nuova maniera” rammenta la “maniera moderna” di cui parlava Giorgio Vasari nelle sue Vite: i grandi Maestri del Rinascimento hanno, a loro volta, appreso una duplice lezione, quella della Natura e quella dell’Antico. Non si può guardare soltanto ai Maestri – altrimenti, l’opera apparirebbe priva di vita propria – ma neppur si può fare a meno di loro: specie nell’epoca che Walter Benjamin ha definito “della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte”, non si può far finta di non conoscere Leonardo e Rubens, nonché Michelangelo, Caravaggio, e tutti gli altri artisti che ci hanno preceduti.

   Fusca non copia, e neppure cita. Egli riprende la tecnica degli antichi Maestri, catturandone lo spirito. Un senso religioso, mistico, pervade la sua pittura: ciò è evidente soprattutto nella commovente Deposizione (2005), che nella galleria tiene il posto d’onore. Si potrebbero trovare paragoni con Michelangelo e Sebastiano del Piombo, ma, soprattutto, con Caravaggio ed i cosiddetti “caravaggeschi”: del resto, Fusca non ha mai negato la sua passione per la pittura del ‘600, pittura che ben conosce, essendosi dedicato per un decennio al restauro di dipinti sei-settecenteschi di Scuola Veneta e Napoletana.

   Ma non è questo il punto. Come abbiamo detto, non si tratta d’una questione squisitamente formale: Fusca non copia, né cita, ma riprende lo spirito dell’Antico. È questo che cattura lo sguardo dello spettatore, e che, per l’appunto, “seduce”. E saper far questo, non è certo cosa da poco. Ai posteri l’ardua sentenza, tuttavia non dubitiamo del fatto che questa pittura solida e corposa resterà, a differenza delle mere “provocazioni” che appartengono alla cronaca, non alla Storia dell’Arte.  

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