“L’anima è forma e fa il corpo”, sentenzia Edmund Spenser (c. 1552-1599) nel suo “Inno alla Bellezza” (1596). E come non pensare ai versi del celebre poeta inglese dinanzi alle opere di un artista come Del Giudice, che infonde una tale vitalità nei corpi che ritrae?
Amedeo Del Giudice (Napoli 1948) è un pittore risolutamente figurativo, che non rinuncia mai alla pura espressione della forma e purtuttavia non cade mai nel vieto formalismo. “Dal punto di vista formale, ciò che maggiormente colpisce è che una tecnica raffinata, curata fino al dettaglio, dia luogo ad un impatto cromatico assai significativo. Primeggiano colori come il bianco argentato, il rosso e il nero” (Antonio Martone).
Il vero artista è sempre posto dinanzi a un bivio: seguire la Natura o la Tradizione? Un dilemma antico quanto la pittura stessa, che ha sempre visto gareggiare i seguaci dei venerati Maestri e quelli che, come Caravaggio, avevano per unica legge il “vero naturale”. In realtà, la separazione non è così netta. Il pittore dipinge ciò che vede, ma, così come non può chiudere gli occhi dinanzi al mondo reale, parimenti non può chiudere gli occhi dinanzi alla Tradizione, in quanto anch’essa fa parte a tutti gli effetti della realtà. Il vero artista osserva ogni dettaglio del suo modello, ma non può ignorare quanto hanno fatto i suoi predecessori: la lezione degli antichi Maestri, quando è correttamente assimilata, guida inevitabilmente l’occhio che vede e la mano che dipinge.
Del Giudice ebbe come insegnante di pittura Domenico Purificato (Fondi 1915 – Roma 1984), celebre esponente della Scuola Romana con Scipione e Mafai, ma vanamente cercheremmo puntuali riferimenti all’opera del maestro in quella dell’allievo, perché i veri maestri non travasano le loro conoscenze in recipienti vuoti, ma, come nella maieutica socratica, aiutano il discente ad esprimere la propria compiuta personalità artistica.
Il nostro Artista rivela una profonda ammirazione per i grandi del passato, come Michelangelo e Caravaggio, ma è completamente calato nella contemporaneità, rivelando nella sua espressione echi del “Realismo magico” di artisti come Cagnaccio di San Pietro (Natalino Bentivoglio Scarpa, Desenzano del Garda 1897 – Venezia 1946), col quale condivide una certa propensione al libertarismo anarchico. I colori puri, in particolare il rosso sgargiante – quasi un rimando tizianesco – ma soprattutto i fondi monocromi, solitamente nei toni d’un grigio cupo, rinviano a silenti atmosfere metafisiche.
E proprio come De Chirico, anche Del Giudice preferisce concentrarsi sui problemi della tecnica pittorica anziché su astratti problemi concettuali. Il suo saldo realismo, che non è né vuol essere una replica tardiva né di quello borghese ottocentesco né di quello socialista sovietico, riesce nell’ardua impresa di catturare l’occhio e la mente dello spettatore ispirando riflessioni profonde sull’esistenza umana.
Un’opera come “Donna, madre, cristiana” (carboncino, grafite e olio su tela 116 x 200) – fulcro della esposizione – in cui si stagliano dinanzi ai nostri occhi ben 7 donne, tutte tra loro simili eppur distinte nelle loro personalità individuali, non può non suscitare emozioni contrastanti. Una madre col bambino è posta esattamente al centro della composizione, rimandando ad un archetipo classico che nulla ha a che vedere con interpretazioni freudiane, ma che interroga altresì l’uomo di oggi sul ruolo della Donna nella società contemporanea. Un ruolo che non può prescindere, evidentemente, dall’alterità della figura femminile. Una alterità che non è subordinazione, bensì complementarietà. L’Uomo non può fare a meno della Donna, così come l’Artista non può fare a meno dell’Arte.
Simone de Bartolo
Le donne nella pittura di Amedeo Del Giudice – Il rosso di una sacralità senza tempo 11 ottobre – 23 novembre 2025 Kalòs International Art Gallery via Andrea da Bari, 92/96, Bari
Kalòs International Art Gallery | Esplora Arte Ora

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