È quasi un secolo che il capoluogo piemontese ha la sua “statua della libertà”: il Faro della Vittoria a Torino (1928), opera dello scultore Edoardo Rubino (Torino 1871-1954), collocato alla sommità del Colle della Maddalena nel Parco della Rimembranza. Un’opera che intendeva perpetuare la luce dell’eroismo e del sacrificio dei Caduti per la Patria, ma che oggi è soltanto il simbolo malinconico di un’epoca ormai remota. Come è noto, l’opera – una tra le statue bronzee più grandi al mondo – fu voluta e finanziata dal Senatore Giovanni Agnelli Sr., fondatore della FIAT, che ne fece dono alla sua città. Altrettanto noti – nonché evidenti – sono i riferimenti artistici di Rubino: da un lato, la poetica Liberty del suo maestro Bistolfi, dall’altra l’imponente statua del francese Frédéric-Auguste Bartholdi (1834-1904) nel porto di New York, anch’essa recante una fiaccola accesa nella destra levata (ma dal significato simbolico differente). In merito a quest’ultimo riferimento, è bene precisare che l’iconografia della statua newyorkese non è un prototipo originale: la statua della Libertà – la cui denominazione precisa è Libertà che illumina il mondo (1886) – si ispira per dimensioni e struttura ad una statua italiana, il cosiddetto “San Carlone” (statua secentesca di dimensioni colossali raffigurante San Carlo Borromeo) nonché al mitico Colosso di Rodi dell’Antichità greca; dal punto di vista formale, invece, deriva da una statua allegorica precedente, La Legge Nuova (1810) dello scultore neoclassico Camillo Pacetti (Roma 1758-Milano 1826). Oltre ai riferimenti alla statuaria del primo ‘800 – neoclassica – e del tardo ‘800 – Liberty – con particolare attenzione al suo maestro Bistolfi, Rubino prende come modelli gli originali antichi, specie tardo-ellenistici, come la Nike di Paionio che tanta influenza ebbe sulle Vittorie dell’Altare della Patria. Una certa stilizzazione, evidente soprattutto nelle pieghe della veste e nelle ali, pare porsi in sintonia con i coevi sviluppi Art Déco, che segnano il distacco di Rubino dalla poetica bistolfiana. Fu il Vate Gabriele D’Annunzio a dettare l’epigrafe dedicatoria nel basamento-piedestallo in granito rosa della Vittoria torinese, che recita: «ALLA PVRA MEMORIA / ALL’ALTO ESEMPIO / DEI MILLE E MILLE FRATELLI COMBATTENTI / CHE LA VITA DONARONO / PER ACCRESCERE LA LVCE DELLA PATRIA / A PROPIZIAR COL SACRIFIZIO L’AVVENIRE / IL DVREVOLE BRONZO / LA RINNOVANTE SELVA / DEDICANO / GLI OPERAI DI OGNI OPERA / DAL LORO CAPO GIOVANNI AGNELLI / ADVNATI SOTTO IL SEGNO / DI QVELLA PAROLA BREVE / CHE NELLA GENESI / FECE LA LVCE / FIAT LVX: ET FACTA EST LVX NOVA / MAGGIO MCMXV – MAGGIO MCMXXVIII»
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